Massima

In tema di reati tributari, l'omesso versamento dell'IVA dipeso dal mancato incasso per inadempimento contrattuale non esclude la sussistenza del dolo richiesto dall'art. 10-ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, salvo che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo, anche attingendo al patrimonio personale.

Il caso

La Corte di appello confermava la condanna dell'imputato per il reato di cui all'art. 10-ter del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, commesso con riguardo all'anno di imposta 2013 ed all'anno di imposta 2014.

L'imputato proponeva ricorso in cassazione e, svolgendo plurime censure, denunciava l'impugnata sentenza [per violazione di legge in riferimento all'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000] nella parte in cui aveva ritenuto sussistente il reato di “omesso versamento d'IVA” pur se l'inadempimento dell'obbligo tributario di versamento dell'imposta dovuta aveva trovato causa nel mancato incasso del corrispettivo pattuito per la prestazione resa.

Ritenendo tra l'altro che, in siffatta ipotesi, l'affermazione della responsabilità penale si poneva in contrasto con il principio della natura personale di detta responsabilità, l'imputato sollevava, in via subordinata, questione di costituzionalità dell'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000, in relazione agli art. 3,27 e 117, secondo comma, Cost. e 1, protocollo n. 4, Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, nella parte in cui non prevede che, per l'integrazione della fattispecie delittuosa, sia necessario l'incasso delle somme indicate nelle fatture che hanno dato origine al debito di imposta.

La questione

Chiaro l'accertamento devoluto al giudice di legittimità, chiamato a delimitare l'ambito di operatività del delitto di cui all'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000 e, in particolare, ad appurare se la fattispecie delittuosa incriminata possa o meno ritenersi sussistente anche in quelle ipotesi in cui la condotta di omesso versamento del tributo dovuto trovi causa nel mancato incasso del medesimo tributo per come esposto nelle fatture emesse.

La soluzione giuridica

Ribadito che, ai fini dell'affermazione della responsabilità penale per il reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. 74/2000, è sufficiente, sul piano dell'elemento soggettivo, il dolo generico, configurabile anche nella forma del dolo eventuale, il giudice di legittimità ha anzitutto precisato:

1. per un verso, che “nel reato di omesso versamento dell'IVA, ai fini dell'esclusione della colpevolezza è irrilevante la crisi di liquidità del debitore alla scadenza del termine fissato per il pagamento, a meno che non venga dimostrato che siano state adottate tutte le iniziative per provvedere alla corresponsione del tributo, anche attingendo al patrimonio personale”; 2. per altro verso, che la mancata riscossione di crediti non “costituisce circostanza idonea ad escludere il dolo, posto che si tratta di eventi che rientrano nel normale rischio di impresa”.

E, muovendo da tali principi, la Corte ha confermato l'operato dei giudici del merito, che, nel riconoscere il mancato versamento del tributo come “frutto di una decisione consapevole e voluta dall'imputo, quantomeno nei termini del dolo eventuale”, avevano evidenziato come l'imputato non avesse “adeguatamente dimostrato di non essere stato in grado di reperire le risorse necessarie per l'estinzione dell'obbligazione tributaria”.

Non solo. Ma nel pronunciarsi sul denunciato [ancorché in via subordinata] profilo di illegittimità costituzionale, il giudice di legittimità – pur specificando che esso, siccome svolto “in termini molto generici”, non avrebbe comunque potuto trovare ingresso “in quanto le argomentazioni del ricorrente riguardano i debiti derivanti da obbligazioni contrattuali, ai quali non possono equipararsi i debiti fiscali per IVA, derivanti dalla legge” ha precisato che l'inammissibilità del ricorso, se conseguenza di “manifesta infondatezza” o di “genericità dei motivi” svolti, è, come tale, di ostacolo al “formarsi di un valido rapporto d'impugnazione e preclude (…) la possibilità di rilevare e dichiarare ammissibile una questione di legittimità costituzionale”.

Osservazioni

La decisione in commento, certamente corretta nelle sue premesse e nei suoi epiloghi, offre comunque diversi spunti di approfondimento.

Prevista a tutela dell'interesse alla tempestiva ed efficace riscossione del tributo dovuto, quella di cui all'art. 10-ter d.lgs. 74/2000 è incriminazione:

che, nella sua materialità, è assisa su di una componente commissiva, rappresentata dalla presentazione della dichiarazione annuale IVA portante un debito di imposta superiore a 250.000 euro e su di una componente omissiva, costituita del mancato versamento [entro il termine previsto per il pagamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo] della imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla predetta dichiarazione; 2. che, quanto a colpevolezza, è punita a titolo di dolo generico, configurabile anche nella forma del dolo eventuale [in tal senso, tra le tante, si veda Cass. pen., sez. III, 24.6.2015, n. 34927, Rv. 264882] e da ritenersi integrato – non essendo richiesta la specifica finalità di evadere le imposte o di consentire l'evasione di terzi [in tal senso, tra le tante, si veda, Cass. pen., Sez. Un., 28.3.2013, n. 37424, Rv. 255758] – dalla piena consapevolezza della illiceità della condotta, dovendo il predetto dolo investire [si veda, al riguardo, Cass. pen, sez. III, 24.6.2014, n. 8352/15] sia la componente commissiva della medesima condotta [presentazione della “dichiarazione annuale IVA”], che quella omissiva [mancato versamento del tributo per tal via dovuto].

La fattispecie in rassegna è, al pari di quella prevista dall'art. 10-bis d.lgs. n. 74/2000, reato la cui configurabilità è stata, anche in tempi recenti, a lungo dibattuta con riguardo a quelle ipotesi in cui l'inadempimento dell'obbligo tributario di versamento abbia trovato causa, almeno nella prospettazione difensiva, nell'impossibilità finanziaria del contribuente di provvedere al predetto versamento. E, ponendo mente alle ragioni di detta impossibilità, particolarmente discussa è l'ipotesi in cui il tributo non versato sia quello afferente la prestazione eseguita dal contribuente e da questo, in ragione dell'inadempimento contrattuale della controparte commerciale, mai percepito.

Situazione, questa, nella quale il contribuente:

1. per un verso, è debitore di imposta nei confronti del Pubblico Erario; ed infatti, in disparte l'ipotesi del c.d. “regime per cassa” [introdotto – quale facoltà opzionabile dal contribuente – dall'art. 32-bis d.l. 22 giugno 2012, n. 83, norma a tenore della quale “per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate da soggetti passivi con volume d'affari non superiore a 2 milioni di euro, nei confronti di cessionari o di committenti che agiscono nell'esercizio di impresa, arte o professione, l'imposta sul valore aggiunto diviene esigibile al momento del pagamento dei relativi corrispettivi”], rispetto a tutte le operazioni imponibili, l'imposta diviene esigibile [e v'è, quindi, il diritto dello Stato a pretenderne il pagamento: si veda, al riguardo, l'art. 62, direttiva 2006/112/CE, del Consiglio del 28 novembre 2006] per effetto dell'emissione della relativa fattura [ed a prescindere, quindi, dall'intervenuto pagamento]; 2 per altro verso, è creditore, nei confronti del committente e/o cessionario, dell'importo pattuito per la prestazione eseguita e, quindi, anche dell'ammontare del tributo esposto nella predetta fattura.

È pur vero, peraltro, che l'esigibilità dell'imposta al momento della emissione della fattura è l'eccezione alla regola per cui la prestazione si considera effettuata e il tributo diviene esigibile: (a) per le prestazioni di servizi, al momento del pagamento del corrispettivo; (b) per la cessione di beni, al momento della stipulazione del relativo negozio, se trattasi di beni immobili, ovvero al momento della consegna, se trattasi di beni mobili.

Talché, se non v'è obbligo, ma solo facoltà [si veda, a tale riguardo, Cass. civ., sez. trib. 1.10.2021, n. 20527], di emettere la fattura – e, quindi, di versare [all'Erario] l'imposta prima del pagamento della prestazione medesima, ben si comprendono le ragioni della giurisprudenza di legittimità nell'affermare che, in siffatta ipotesi, il contribuente che abbia presentato la dichiarazione annuale [nella quale è confluita anche l'imposta afferente la fattura non pagata] e non abbia provveduto [nei termini normativamente prescritti] al versamento dell'imposta indicata [a debito] nella medesima dichiarazione, ben può essere chiamato a rispondere del reato di cui all'art. 10-ter d.lgs. 74/2000. In tali casi infatti:

1. “l'emissione della fattura, (...) se antecedente al pagamento del corrispettivo, espone il contribuente, per sua scelta, all'obbligo di versare comunque la relativa imposta” [Cass. pen., sez. III, 23.1.2018, n. 38594, Rv. 273958-01], rendendo dunque irrilevante “la circostanza della esistenza di crediti non riscossi” [Cass. pen., sez. III, 28.5.2021, n. 21044] e, quindi, del mancato pagamento della fattura emessa; 2. il medesimo contribuente “non può dedurre il mancato pagamento della fattura (…)

quale causa di forza maggiore o di mancanza dell'elemento soggettivo” [Cass. pen., sez. III, 16.6.2023, n. 33430], giacché, per un verso, il reato è punibile a titolo di dolo generico ed anche nella forma del dolo eventuale e, per altro verso, il predetto “mancato adempimento (…) è riconducibile all'ordinario rischio di impresa” [Cass. pen., sez. III, 5.5.2021, n. 31352].

Vero è peraltro che, il medesimo Giudice di legittimità ha avuto modo di precisare [e poi ribadire] che v'è “ordinario rischio di impresa”, come tale “evitabile anche con il ricorso alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi” [Cass. pen., sez. III, 24.2.2022, n. 19651], nei limiti in cui l'insolvenza non assuma, [anche] per entità, profili di manifesta eccezionalità e sia tale dal non trovare rimedio nemmeno nell'adozione degli “appropriati e prudenziali strumenti preventivi per fare fronte, anche in relazione alle obbligazioni tributarie, agli eventuali inadempimenti contrattuali (…)” [Cass. pen., sez. III, 24.9.2019, n. 6506/20]. E, nel dar giusta declinazione a tali affermazioni, lo stesso Giudice di legittimità è giunto a precisare che l'inadempimento contrattuale della controparte commerciale è ascrivibile all'ordinario rischio di impresa se gli insoluti che ne sono derivati “siano contenuti in una percentuale fisiologica” [Cass. pen., sez. III, 24.2.2022, n. 19651], ciò che, tuttavia, “non può ritenersi quando il mancato incasso riguardi oltre il 40% del fatturato” [Cass. pen., sez. III, 5.5.2021, n. 31352].

Orbene, a ben intendere i succitati arresti della giurisprudenza di legittimità, appare possibile affermare, anche ponendo mente alla disciplina normativa dell'imposta sul valore aggiunto [il cui momento di esigibilità può sì coincidere con l'emissione della fattura, ma per libera scelta del contribuente] ed alla struttura della fattispecie incriminatrice [che non richiede un dolo intenzionale di evasione], che:

1. al mancato incasso della imposta, in ragione dell'inadempimento contrattuale della controparte commerciale, non può essere riconosciuta una automatica rilevanza esimente; 2. perché la “crisi di liquidità”, derivante da detto inadempimento, possa escludere la colpevolezza, è necessario che sia data prova che detta “crisi” [non dipesa dalla scelta consapevole di non adempiere l'obbligo tributario] “sia stata imprevedibile” [Cass. pen., sez. III, 16.6.2023, n. 33430] e che siano state adottate “tutte le misure idonee per evitare l'omissione del pagamento” [Cass. pen., sez. III, 12.4.2017, n. 39503], ovvero [così rilevando una “causa di forza maggiore”] che l'insoluto che ha cagionato detta “crisi di liquidità” sia stato manifestamente eccezionale e, come tale, non avrebbe potuto trovare rimedio nemmanco nell'adozione degli “appropriati e prudenziali strumenti preventivi per fare fronte, anche in relazione alle obbligazioni tributarie, agli eventuali inadempimenti contrattuali (…)” [Cass. pen., sez. III, 24.9.2019, n. 6506].

Affinché, quindi, il mancato incasso per inadempimento contrattuale possa assumere efficacia esimente, a rilevare, nella prospettiva difensiva, non è certo la mera allegazione dell'inadempimento contrattuale e, quindi, del mero mancato pagamento della prestazione resa.

Dirimente, invece, è la dimostrazione che, a fronte di detto inadempimento e della “crisi di liquidità” che ne è conseguita, sono state intraprese tutte le azioni idonee [anche se sfavorevoli al patrimonio del contribuente (in tal senso, Cass. pen., sez. III, 27.7.2023, n. 32722)] ad evitare l'omissione del pagamento e a reperire le disponibilità necessarie [si veda, al riguardo, oltre alla sentenza in commento, che specifica il dovere del contribuente di attingere al proprio patrimonio, Cass. pen., sez. III, 16.6.2023, n. 33430, la quale in motivazione, nel confermare le statuizioni rese dal giudice di merito, ha fatto riferimento alla prova del tempestivo esercizio dei crediti ed alla prova della inesistenza di altre legittime fonti di finanziamento; si veda, poi, la già citata Cass. pen., sez. III, 24.2.2022, n. 19651, che, in motivazione, ha fatto riferimento “alle procedure di storno dai ricavi dei corrispettivi non riscossi”], ovvero la prova che il predetto inadempimento non avrebbe potuto trovare rimedio, stante la manifesta e palese eccezionalità, nemmeno nel positivo esperimento di dette azioni [si veda, al riguardo, Cass. pen., sez. III, 24.2.2022, n. 19651, la quale, come detto, ha precisato che l'inadempimento contrattuale è ascrivibile all'ordinario rischio di impresa – e come tale non esclude il dolo – se gli insoluti che ne sono derivati “siano contenuti in una percentuale fisiologica”, ciò che, tuttavia, “non può ritenersi quando il mancato incasso riguardi oltre il 40% del fatturato” (Cass. pen., sez. III, 5.5.2021, n. 31352)].

È certo corretta, quindi, la conclusione fatta propria dalla sentenza in rassegna che, dando giusto seguito ai menzionati principi, ha debitamente evidenziato la responsabilità penale dell'imputato, essendo “il mancato versamento dell'IVA” il “frutto di una decisione consapevole e voluta dal ricorrente, quantomeno nei termini del dolo eventuale” e non avendo l'imputato “adeguatamente dimostrato di non essere stato in grado di reperire le risorse necessarie per l'estinzione dell'obbligazione tributaria”.